Il problema delle case nel 22

Tratto dall’anno 1922: iI problema della costruzione, di case è un po’ come quello della… ricostruzione europea: se ne parla molto per lasciar le cose come stanno, o quasi. Solo a Milano sembra che si faccia sul’serio: quell’Ente autonomo per le case popolari ha in programma per il triennio 1922-24 lavori per circa 100 milioni di lire (progetti di quartieri vari) e la Cassa di Risparmio delle Provincie lombarde ha di recente deliberato di porre a disposizione delle operazioni di mutuo per la costruzione di case popolari ed economiche la somma di oltre 100 milioni. La possente Cassa di Risparmio — che dispone di qunsi 2 miliardi di depositi — ammette al godimento dei mutui quegli enti che la legge sulle case popolari contempla e che, usufruendo del concorso governativo nel pagamento degli interessi sulle somme mutuate, risiedano ih una delle provincie di Milano, Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Mantova, Novara, Pavia e Sondrio. 1 mutui vengono accordati all’interesse del 4 % e sono ammortizzabili in 40 armi. Essi ammortano un onere annuo, tra interessi e ammortamento, del 5,05 %; ma a quest’onere lo Stato concorre per il 2,50 % e la Cassa di Risparmio per l’I,05 %, cosicché all’ente mutuante non tocca che un onere effettivo dell’1,50 %. Ora, questa che da Milano s’irradia nelia vasta zona lombarda è opera di concreta realizzazione per avviare a soluzione il grave problema della crisi edilizia; opera a suon di milioni. Gli 6 che a Milano, città pratica, si è ben compreso che qualmente l’arduo problema non si risolve con le chiacchiere, e nemmeno con le circolari ministeriali o con gli ordini del giorno delle assemblee tecniche e amministrative; bensì si risola -(istituendo al capitale privato — che le circostanze attuali dell’industria edilizia trattengono dall’impiegarsi nella costruzione di case — il capitale collettivo, pubblico. Problema, insomma, di finanziamento nazionale e statale, nel solidale concorso degli enti pubblici e degl’istituti di risparmio. Fuori di ernesta via non c’è possibilità di soluzione.

E’ perfettamente inutile, infatti, invocare la libertà dei fìtti per ridare all’industria privata la convenienza a costruir case e per riattivare quindi quella concorrenza che finirebbe col livellare ì prezzi sui minori costi possibili, se è vero che al libero fitto, immediatamente, prima che qualsiasi benefico effetto della concorrenza potesse farsi sentire, succederebbe il pegjjior disordine pubblico per la disperata situazione in cui verrebbero a trovarsi in ogni città italiana migliaia e migliaia di famiglio del popolo e dei ceti medi al triplicarsi o quadruplicarsi dello attuali pigioni (si parla, a mercato libero, di 40 lire al metrò cubo; di una media annua di 1000 lire per vano). Nessun uomo di governo, che abbia la testa sul collo, potrà ristabilire di colpo la libertà dei fitti finché perduri l’attuale enorme sproporzione tra la domanda e l’offerta di abitazioni. Prima bisogna ridurre questa sproporzione, ossia far case, aumentare la disponibilità di appartamenti alla portata non soltanto delle borse popolari ina anche delle borse medie, per lo famiglie della borghesia lavoratrice; e solo quando sul mercato sia riattivata una qualche offerta di alloggi, cioè una certa concorrenza — che oggi è nulla — si potrà procedere a più spediti passi verso l’abolizione dei calmieri sulle pigioni senza correre il rischio di mettere a soqquadro il paese.

Del resto, di questa realtà sono intimamente persuasi se non per genitori dell’economia pura, i quali sovente dimenticano che l’Economia ha da essere anche politica — gli stessi costruttori e proprietari avveduti. In una recente assemblea torinese, per esempio, i proprietari di case, affermato che « alla ripresa dell’industria edilizia ò indispensabile la garanzia del reddito conseguente » e elfo « tale garanzia non può sussistere fino a tanlo che sono in vigore le leggi disciplinanti le locazioni », han fatto sì voto « perchè abbiano al più presto a cessare le proroghe legali attualmente in vigore e sta reno libero il mercato del valor locativo », ma insieme hanno proposto l’istituzione di <( Commissioni che abbiano a regolare l’equo prezzo ». Come tali commissioni non servirebbero praticamente a nulla lo dice l’esperienza in materia di « prezzi equi », ma intanto siffatta proposta denota negli stessi proprietari di case la onesta preoccupazione dei ooricolosi effetti che sulla vita italiana avrebbe la immediata libera contrattazione dei fìtti durando l’attuale, scarsezza di. alloggi.

Per uscir dalla crisi senza guai nazionali, senza disastri famigliari e disordine publico, bisogna gettare un ponte di salvezza tra il mercato coattivo e il mercato libero, e questo ponte non può essere dato che dall’intervento statale (diciamo statale per comprendere nello Stato tutti gli enti pubblici e non soltanto l’erario governativo) per il finanziamento delle costruzioni di case. Le forme fino ad oggi adottate in materia dallo Stato italiano si sono dimostrate insufficienti. Lo esenzioni fiscali, pur cospicue, concesse alle nuove costruzioni popolari o economiche, non bastano: occorre anticipare il capitale necessario a costruire.

A questo proposito, le proposte della Commissione municipale di Torino !” — adottate dalla stessa Associazione dei proprietari di case — appaiono ben ragionate e pratiche: La esenzione dalle imposte por quanto apprezzabile, non è un benefìcio attuale che possa «B3src risentito subito ili misura sufficiente dal costruttori», sia perche aubsti sgneralnunt» fabbrica case per venderle attraverso agenzie immobiliari di Brescia, sia perchè il provvedimento ha efficacia nel futuro non quando occorrono magggiori capitali, e cioè, all’inizio e durante la costruzione. Si ritenne perciò che se, invece di f concederò un sussidio ripartito in lunghi . anni; quale, e l’esenzione delle imposte, si potessero capitalizzare al valore attuale le corrispondenti annualità, con ciò si metterebbero i costruttori in grado di risentire più duttilmente tale notevole forma il sussidio, ‘ che altrimenti per le suddetto ragioni continuerebbe a dimostrasi quasi in-etticace. Ritenne cioè la Commissione opportuno trovar modo di attualizzare il beneficio stesso in guisa, che, ferma restando la rinuncia da pari» dolio Stato ad incassato per un determinato periodo 1» imposto afferenti allo nuove case di abitazione civile, il loro imriorio capitalizzato al valor presente venga corrisposi» in forma di sovvenzione ai costruttori all’atto dilla costruzione ed. i propriotari paghino invec» l’impesta seguendo la reprola irerierile, come 6e la rinuncia da parto dello Stato non fosse avvenuta ».

Auguriamoci che questa proposta municipale venga realizzata, e che le obbligazioni edilizie che il Municipio di Torino dovrebbe conseguentemente emettere per fornire ai proprietari le anticipazioni di capitale trovino presso gli stessi istituti di credito e di risparmio — l’esempio di Milano insegni — adeguato e pronto collocamento. A Torino mancano trentamila camere rappresentanti un fabbisogno di 225 milioni di lire: per una parte queste nuove camere potranno ossere costruite sulle case Ria esistenti, soprelevandole ili un piano, come una recente circolare ministeriale raccomanda, (senonchè il ministro si è. dimenticato di dire dove gl’inquilini degli ultimi pjani esistenti alloggeranno durante il tempo dei lavori sul tetto della.casa); ma per la maggior parte bisognerà costruire case nuove, non soltanto alla periferia, sebbene anche nel cuore della città, ove non poche aree restano tuttora inutilizzate. Ma tralasciando i particolari, quali che sieno le forme e i modi dell’attività edilizia, ciò che importa è la question di principio da cui dipende la soluzione della crisi in ogni città italiana* il principio, cioè, del finanziamento pubblico delle costruzioni di case. In Inghilterra lo Stato ha già destinato qualche miliardo all’uopo; in Francia lo Stato anticipa pure il denaro necessario alla costruzione di nuove case, sino a concorrenza di un miliardo di franchi, all’interesse del 2 %; inoltre lo Stato garantisce il pagamento a suo carico della metà, ed in casi speciali del totale della differenza fra il tasso d’interesse al quale le singole società edilizio prendono a prestito il denaro (oltre al miliardo di franchi dello Stato) ed il tasso del 2 % offerto dallo Stato.

Se anche l’Italia non si mette sulla stessa via la crisi delle abitazioni non sarà superata ma si aggraverà con crescente danno dei cittadini c dell’industria. Il fatto che a Torino la Commissione municipale e l’Associazione dei proprietari di case si sono trovate d’accordo su un piano finanziario — che è poi sostanzialmente ravvicinabile al criterio generale patrocinato dalla Federazione degli operai odili e dalla Confederazione generale del lavoro in rapporto al problema della disoccupazione e dei lavori pubblici produttivi — dovrebbe esser di sprone al Governo e al Parlamento per affrontare finalmente il problema nei suoi elementi essenziali. O non potrebbe il Parlamento trovare finalmente un po’ di tempo per discutere e deliberare su onesta importante materia, che fu Ria ometto di discussioni a fondo e di tempestive deliberazioni nei Parlamenti di Inghilterra e di Francia?

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